La Vicenza tardo-romana è ancora Vicetia, la città romana in cui si è evoluto sei secoli prima il villaggio protoveneto sull’altura fra i letti dei due fiumi che perimetrano il centro urbano su tre lati. (qui tutte le puntate di “La Vicenza del passato”, ndr)
Vicenza, insieme con tutto il resto della regione denominata Venetia, prima è alleata di Roma e poi è parte del territorio dell’Impero pur mantenendo la propria autonomia amministrativa. L’attribuzione del titolo di oppidum a Vicetia fa diventare i vicentini cittadini romani a pieno titolo. La città assume l’aspetto tipico di quelle romane grazie alle ingenti opere pubbliche che l’Urbs le dona a cavallo dei due secoli prima e dopo la nascita di Cristo. Tutto è cominciato a metà del Duecento a.C. con la costruzione per fini militari della Via Postumia, che collega Aquileia a Genova e attraversa Vicenza da est a ovest. È, quindi, nell’interesse dei dominatori che la città, tappa importante sul percorso della strada consolare, sia forte ed efficiente. Ecco, allora, che si erge la cinta muraria, che si costruisce l’acquedotto, che si romanizza il centro dell’abitato con il Foro e con la Basilica, con il Capitolium e con le Terme, che si dà un assetto urbanistico regolare con i decumani e i cardi. Per ultima arriva la meraviglia, il Teatro Berga con i suoi cinquemila posti, per cui Vicenza sarà famosa in tutto l’Impero.
Vicetia e Venetia
Ma non ci sono solo le opere pubbliche. La romanizzazione porta anche la duratura pacificazione del territorio e, in conseguenza, lo sviluppo economico e il benessere. I commerci, le coltivazioni, le produzioni manufatturiere arricchiscono i vicentini. Le centuriazioni riassettano le campagne e organizzano l’attività agricola e l’allevamento. La rete di strade che parte da Vicetia verso Padova e il mare, verso le montagne e la Retia, verso la pianura padana e il meridione è integrata dalle vie fluviali. La Postumia la collega ai grandi centri padani dell’economia e della cultura: Aquileia, Verona, Milano.
La Vicenza tardo-romana accoglie senza traumi il Cristianesimo nel quarto secolo dopo Cristo. La nuova religione arriva da oriente, convive con quella ufficiale dell’Impero, trova discretamente gli spazi per i suoi luoghi di culto, i morti pagani e battezzati sono sepolti nelle stesse necropoli.
Il mondo romano si avvia alla fine ma Vicetia non se ne accorge. Rimane più o meno la stessa quattrocento anni prima sia nell’abitato che nell’economia che nelle condizioni di vita dei cittadini. Ma presto cambierà tutto perchè la pacifica Venetia è la porta da cui entrano in Italia i popoli delle steppe e delle foreste, i barbari.
Arrivano i barbari
Con questo nome i Romani definiscono i popoli che vivono all’esterno dell’Impero, nel Nord e nell’Est del continente. Dapprima combattuti e confinati con un limes di opere difensive, i barbari sono progressivamente integrati sia come alleati che come corpi militari ausiliari. Ma ciò non basta a salvare l’Impero dalle loro invasioni. Sono popoli non stanziali, non hanno città né territori coltivati, sono nomadi e pastori, vanno dove c’è benessere e ricchezza per appropriarsene con le armi. Sono diversi nella religione, nella cultura, perfino morfologicamente.
Le vie consolari sono le “autostrade” per le invasioni barbariche
I barbari sono costretti a migrare a sud perché, a loro volta, sono cacciati dall’arrivo di tribù che arrivano da ancora più lontano. Le strade che percorrono per arrivare nel “bengodi” dell’Italia passano per la Venetia. Paradossalmente è proprio la rete stradale dell’Impero, nata per trasferire le truppe, a diventare la rovina della regione. La Postumia, l’Annia, la Gallica, le vie consolari sono come, oggi, le autostrade. I percorsi migliori, più brevi e diretti per conquistare un territorio. E Vicetia sta proprio su una delle direttrici più importanti, quella che collega il confine orientale con la pianura padana. È, insomma, esposta inevitabilmente alle invasioni barbariche.
Vicenza tardo-romana
Vicenza resta fedele all’Impero, è nella forma e nella sostanza l’oppidum del passato anche se si può presumere che, dopo cinque secoli, le opere pubbliche romane non siano più nello stato originale. Solo la cinta muraria è rinforzata, la difesa dell’abitato è diventata attuale e primaria necessità.
Tutto sommato la calata degli invasori non è così disastrosa per la città. Solo gli Unni, popolo mongolo che invade l’Italia a metà del V secolo, la espugna e la devasta. L’Impero non la difende. Va peggio a Concordia, Altino e Padova che sono tutte distrutte. Dalla scomparsa di Patavium consegue che Vicenza diventa sede vescovile. Rimarrà per secoli il principale centro di riferimento religioso nell’area centrale della regione.
Vicenza si salva, invece, dai Visigoti, dagli Eruli, dagli Ostrogoti cha passano tutti per la Venetia. E, comunque, si risolleva rapidamente anche dai danni che le arrecano i barbari guidati da Attila, la ricostruzione è immediata.
L’addio alla Vicenza tardo-romana è lento. L’occupazione gota è soft, c’è convivenza fra la popolazione locale e gli invasori, che rispettano e mantengono le istituzioni preesistenti. Certo non si costruisce nulla o quasi di nuovo e gli edifici di epoca romana non sono più solo vecchi ma antichi. Il Teatro Berga, ad esempio, è inutilizzato e comincia la sua rovina.
Le invasioni barbariche non portano solo distruzioni agli abitati e uccisioni di abitanti. Portano anche malattie. Arrivano le prime pestilenze, che provocano un calo demografico importante in una popolazione che non è preparata e non sa come fronteggiarle.
Comincia anche a cambiare l’aspetto urbanistico della città. Sparisce il grande quartiere di ville romane che era attorno al Foro, la nuova Cattedrale emblematicamente si sovrappone proprio a una domus, l’archeologia ha dimostrato che l’area non è più residenziale ed è diventata sede di magazzini e servizi. La parte vitale del centro si restringe, anche se i commerci e l’amministrazione pubblica restano allocati attorno all’area del Foro.