Villa Giulia, situata a Punta Edo, da dove sovrasta lo splendido mare che circonda Ventotene, una delle sei isole dell’arcipelago pontino, è una prigione dorata eretta nel II secolo a.C., costruita per volere di Ottaviano Augusto dove per cinque anni è vissuta in esilio sua figlia Giulia come ho appreso da turista vicentina curiosa nel basso Lazio (qui le narrazioni del mio viaggio). Dopo di lei la stessa sorte toccò ad altre donne della famiglia: Agrippina maggiore, figlia della stessa Giulia, e moglie di Germanico, Ottavia, moglie di Nerone, e altre donne ribelli.
Giulia aveva una condotta non conforme ai costumi dell’epoca: era una donna libera, emancipata “da tutti i punti di vista”. Fu incolpata di aver tramato una congiura contro il padre Ottaviano Augusto, di cui era l’unica figlia, e avere una condotta immorale, dopo i vari tradimenti nei confronti del marito Tiberio.
In origine l’isola si chiamava Pandataria, isola inospitale, battuta dal vento, riarsa dal sole e dal mare. Tiberio, terzo marito di Giulia, fu costretto a divorziare dalla moglie precedente per sposarla e da lì partì l’odio per lei.
Probabilmente nell’esilio, ci fu lo zampino di Livia, terza moglie di Augusto e madre di Tiberio. Giulia fu esiliata con la madre Scribonia.
Tacito scrisse che Giulia si lasciò morire, poco dopo la scomparsa del padre a cui succedette Tiberio.
Questi si fece costruire una villa a Sperlonga, con terrazze sul mare, ma, durante il suo impero si trasferì a Capri, a villa Jovis, dominando l’intero promontorio denominato monte Tiberio. Tiberio si trasferì definitivamente a Capri nel 27 d. C. dove amava ospitare uomini di studio, letterati e astrologi ma anche cortigiane e cortigiani per il suo piacere personale e le sue frequenti orge.
Fece uccidere il suo successore Germanico, nominando due successori: Caligola, figlio di Agrippina Maggiore, moglie di Germanico, e Gemello.
Caligola, traumatizzato dalla morte del padre per opera di Tiberio e dall’esilio della madre, uccise Tiberio e Gemello, diventando imperatore di Roma.