Vincolo Soprintendenza su Vicenza, il sì di Ciro Asproso: “commissariati” dopo anni di insufficiente amore per noi stessi e per il nostro territorio

Su Monte Berico insiste un vincolo risorgimentale che punisce l’espressione di un pensiero critico nei confronti di Vittorio Emanuele II o di altri protagonisti di quell’epoca storica, ma nulla dice riguardo alla tutela dei palazzi dei primi del ‘900 ivi costruiti...

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Borgo Berga e il vincolo
Borgo Berga e il vincolo

Per quanto riguarda la questione della proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico (leggi maxi-vincolo) messa nero su bianco dalla Soprintendenza di Verona su indicazione del Mibac ho avuto modo di leggere i contenuti del vincolo apposto per la tutela e la valorizzazione paesaggistica dell’Area del Monte Berico e della Riviera Berica settentrionale.

Premesso che le mie sono considerazioni puramente politiche, quindi senza alcuna pretesa di esprimere un giudizio tecnico, sono incline a pensare che si tratti di un provvedimento necessario – il che non significa che sia perfetto – ma di certo non è casuale.

Si parte dalla definizione del concetto stesso di territorio: “… il nesso che lega l’idea di suolo naturale a quella delle trasformazioni artificiali operate dall’uomo nel processo di antropizzazione e di conseguente trasformazione abitativa e produttiva” …

Per arrivare alla definizione di paesaggio: “un flusso di eventi che si sono stratificati e che percepiamo come parte visibile di una struttura antropica … composta di relazioni, architettura, infrastrutture, modelli economici”.

Con riferimento alla porzione di territorio che ha come fulcro il Monte Berico, a oriente la zona pedecollinare della Riviera Berica e a occidente il Parco del Quarelo, il Ministero dei beni culturali ha stabilito che il suo carattere particolare non vada ascritto unicamente al paesaggio vicentino, ma sia peculiare dell’identità italiana e in ragione di ciò meritevole della massima tutela.

Sono ben conscio delle critiche piovute addosso al provvedimento da parte della Regione, di Confindustria berica e dello stesso Sindaco, ma trovo che siano in gran parte ingiustificate. Innanzitutto perché non è vero che “si blocca tutto” come dicono, dato che c’erano già dei vincoli pre-esistenti, e poi perché trovo scorretto l’approccio critico. Qui non stiamo parlando di norme che regolano l’edilizia privata bensì di vincoli paesaggistici per i quali una certa dose di discrezionalità è quasi inevitabile.

D’altro canto, basta pensare ai capanni per gli attrezzi in area agricola che, in virtù del Piano Casa, hanno propiziato aumenti di volume poi traslati fino a 200 metri di distanza; o ai palazzetti liberty di Monte Berico, abbattuti per far posto a moderni edifici con il tetto piano; o ancora al terribile scempio di Borgo Berga, per comprendere l’urgenza di un tale regime di salvaguardia. Tanto per dire, sempre sul Monte Berico, insiste un vincolo risorgimentale che punisce l’espressione di un pensiero critico nei confronti di Vittorio Emanuele II o di altri protagonisti di quell’epoca storica, ma nulla dice riguardo alla tutela dei palazzi dei primi del ‘900 ivi costruiti.

In realtà il punto è proprio questo, se il MIBAC ha ritenuto necessario “commissariarci” è perché in tutti questi anni, ai vari livelli di responsabilità, non abbiamo dimostrato sufficiente amore per noi stessi e per il nostro territorio.

Ad essere onesti, questa indifferenza per il patrimonio pubblico non è una prerogativa solo di noi vicentini, l’Italia tutta sembra essere una repubblica fondata sull’edilizia. La nostra penisola si è letteralmente ricoperta di prime, seconde e terze case, oltre che di capannoni, centri commerciali, infrastrutture di vario genere, molte delle quali inutili o inutilizzate. Inoltre, l’impermeabilizzazione dei suoli ha snaturato e imbruttito il paesaggio rendendolo ancor più fragile e compromettendone l’assetto idrogeologico.

Dopo che per anni abbiamo avuto i vandali in casa (citazione di un famoso libro di Antonio Cederna), solo da poco ha iniziato a diffondersi una maggiore consapevolezza e sensibilità nei riguardi del patrimonio artistico ed ambientale. Tuttavia, in attesa che la Legge nazionale sul consumo di suolo – arenatasi in Senato nella scorsa legislatura – riprenda finalmente il suo iter parlamentare sarebbe buona cosa iniziare ad applicare le leggi che già ci sono.

Ai sensi dell’art. 146, comma 6, del Codice dei beni culturali e del paesaggio, gli Enti delegatari del potere di autorizzazione paesaggistica (vedi il Comune) debbono disporre “di strutture in grado di assicurare un adeguato livello di competenze tecnico-scientifiche nonché di garantire la differenziazione tra attività di tutela paesaggistica ed esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistico-edilizia”.

Sempre l’art. 146, al comma 4, prevede che “l’autorizzazione paesaggistica costituisca atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio”.

Come ribadisce una sentenza del Consiglio di Stato del 2015 è illegittimo effettuare la commistione tra l’attività a tutela del paesaggio e quella di trattazione delle pratiche edilizie. Ebbene, tale commistione avveniva regolarmente nel Comune di Vicenza fino all’anno scorso.

Negli uffici del Settore Edilizia Privata, il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica venivano rilasciati addirittura dalla stessa persona, in evidente conflitto d’interessi tra il controllato e il controllore. Questo, nonostante una delibera del Consiglio comunale risalente al maggio 2010 avesse disposto l’istituzione del “Comitato tecnico per il paesaggio” il quale doveva costituire, per l’appunto, una struttura tecnica dipartimentale dotata di adeguato livello di competenze in materia paesaggistica e indipendente rispetto alle attività urbanistico – edilizie.

Ora questa struttura esiste, ma è composta da un responsabile del procedimento e da un collaboratore a scavalco con un altro ufficio; insomma un po’ pochino per l’importanza della loro missione e in previsione della mole di lavoro che li attende.

Quando io ero un giovane consigliere di circoscrizione ricordo che esisteva la commissione “Ornato, Edilizia, Paesaggio” – poi soppressa perché (si disse) pleonastica e giust’appunto, “discrezionale” – ma essa svolgeva una funzione fondamentale nell’esame delle pratiche edilizie poiché, da sempre, l’estetica vale almeno quanto la tecnica.

Si racconta che Stendhal, in visita a Milano negli anni successivi all’occupazione napoleonica, elogiasse la grazia dell’architettura civile (non meno gradevole degli edifici più rappresentativi), per la sua qualità diffusa e per la dignità ambientale che conferiva alle strade cittadine: “Vi è del resto a Milano una Commissione di Ornato che si occupa della bellezza delle case, e ha inventato una certa proporzione, piena di poesia, tra i pieni e i vuoti delle facciate delle case”.

Potrà anche far sorridere, ai giorni nostri, questo richiamo alla poesia del costruire. Tuttavia, bisogna riconoscerlo, le città non sono semplicemente il segno della trasformazione urbanistica, sono anche l’insieme degli spazi vuoti, i luoghi ben distinguibili del paesaggio rurale, le aree non ancora sfruttate dal perverso meccanismo della rendita fondiaria.

Ecco dunque il fine ultimo del vincolo apposto dalla Soprintendenza: sottrarre il paesaggio alla logica del mercato, valorizzare ciò che è di tutti in quanto patrimonio collettivo, contrastare il consumo di suolo, promuovere la qualità architettonica e urbanistica degli interventi.

La vera domanda non è chiedersi se il vincolo fosse realmente necessario, ma perché in tutti questi anni non siamo stati in grado di tutelarci da soli.

Ciro Asproso