Si sa cosa è accaduto alla giornalista fiorentina Greta Beccaglia, e le tante reazioni non saranno mai sufficienti a colmare il vuoto culturale che è alla radice di questi episodi di violenza. Trovati i responsabili, ne subiranno le conseguenze. Alla Beccaglia il retaggio di quanto accaduto e l’auspicio che umanamente, politicamente e professionalmente ne faccia il miglior uso possibile per far capire e crescere tutta la società civile, soprattutto coloro (tanti?) che potrebbero considerare quel gesto di violenza al pari di una goliardata – si legge nel comunicato che pubblichiamo di Aduc (qui altre note Associazione per i diritti degli utenti e consumatori su ViPiu.it, ndr).
Ma è tutto molto difficile. Molto. Senza scomodare trattati di psicologia, sociologia, antropologia, senza scavare nelle radici religiose di certi modi “spontanei” di essere, se ognuno cerca di pensare e comportasi in modo liberatorio della cultura che porta a queste violenze, succede che non ce la fa. E questo è uno dei grandi problemi.
Un esempio mediatico
Il quotidiano Met (News dalle pubbliche amministrazioni della città metropolitana di Firenze), oggi informa con questo titolo:
Molestie a giornalista. Consiglio Metrocittà Firenze: “Sostegno alla denuncia di Greta”
Nessuno ha dubbi che il quotidiano delle istituzioni fiorentine possa non essere razzista e maschilista… ma Met ha fatto uno “scivolone”.
Perché nel titolo ha chiamato la giornalista solo per nome?
Avrebbe scritto altrettanto titolo col solo nome per un uomo?
Tipo: “Dario condanna la violenza subita da Beccaglia”? Dove Dario è il nome del Sindaco Nardella, abbastanza inusuale e facilmente attribuibile, per la notorietà del personaggio, al Sindaco di Firenze; così come immaginiamo sia accaduto per il nome Greta (nonostante in molti è probabile che lo abbiano assimilato alla leader ambientalista svedese Thunberg).
No, probabilmente non avrebbe usato Dario come ha usato Greta.
Questo è paternalismo che, non a caso (pater…), si riferisce al genere maschile e non a quello femminile.
Questa è la nostra cultura, il nostro modo di esprimerci, di comunicare. Attraverso un subconscio culturale che è molto difficile da scardinare. A qualcuno potranno sembrare eccessive e forzate le necessità di certe declinazioni ed espressioni, ma è un disagio che merita di essere affrontato e superato pena il considerare scontato che il “maschile”, essendoci anche cacofonicamente abituati/armonizzati, continui nella propria prevalenza… prevalenza che porta anche a considerare i maschilismi vari come giustificati dall’essere in vita.
Qui un nostro precedente articolo su perché un maschio e una femmina con la stessa madre o padre, si debba continuare a chiamarli fratelli e non sorelle: https://www.aduc.it/articolo/claudia+pietro+sono+fratelli+perche+non+sorelle_33371.php