“La violenza è pane quotidiano. Non restare nell’ombra. Chiama il 1522”. Questo il messaggio contenuto nell’etichetta incollata su più di 1200 sacchetti del pane distribuiti da sabato da più di dieci panifici della città di Vicenza.
Certo, il fine primario è diffondere la conoscenza del numero nazionale antiviolenza, il 1522. Un numero che va interiorizzato, che è bene entri nelle rubriche mentali non solo delle donne che si trovano in situazione di difficoltà o pericolo, ma di tutti coloro, uomini e donne, che vedono, che conoscono, che percepiscono, che temono esiti potenzialmente pericolosi e tossici in quella relazione che osservano come vicini di casa, parenti, amici.
Ma il messaggio, che è una metafora, allude anche a ben altro.
Richiama il valore del pane, come simbolo di vita, come elemento essenziale della nostra vita, come la libertà, la dignità, il rispetto: valori imprescindibili e costituzionalmente tutelati.
Il pane racchiude in sé pure il carattere della quotidianità, quella delle ore scandite tra l’essere in casa, al lavoro, nello svago; quella delle relazioni tra colleghi, marito e mogli, genitori e figli, amici e parenti.
Ecco il punto: il linguaggio. La parità di genere parte da qui. Perché siamo quello che diciamo, chiamiamolo sessismo linguistico o stereotipo di genere, se ci sembra un termine meno aggressivo. Certo è che non si può pensare al di là delle parole che conosciamo perché è attraverso la lingua che si dà forma alla società.
La lingua presenta (ancora!) stereotipi linguistici che con fatica andranno sradicati da chi è abituato a sentirli o, peggio ancora, a utilizzarli ogni giorno. La parità di genere parte proprio dal linguaggio: bisogna fare buon uso delle parole, perché le parole fanno le cose. La violenza spesso inizia dalle parole, prima di arrivare ai gesti.
Attraverso la metafora del pane si intende comunicare un messaggio che vuole raggiungere ogni famiglia, all’interno delle quali non sono pochi gli uomini che silenziano le proprie compagne, che escludono la donna dalla gestione finanziaria della famiglia, che rifiutano il principio della collaborazione nella cura dei figli o della casa: situazioni e stereotipi di genere che squalificano la donna e che si imparano da piccoli, proprio come tanti altri insegnamenti che apprendiamo più o meno consapevolmente durante l’infanzia.
Il 36% delle donne italiane dichiara di aver subito violenza verbale, emotiva o fisica da parte di un uomo. Le più colpite risultano le under 25: quasi 6 su 10 (57%) riferiscono di essere state vittime di qualche forma di violenza. Numeri dell’ultima rilevazione Istat.
Ogni giorno, a casa, sul posto di lavoro, al ristorante piuttosto che sulle strade (a proposito: donna al volante, pericolo costante!) smontiamo con fermezza i mandati per la maschilità (uomo competitivo, dominante, indipendente, sicuro…) e della femminilità (donna che conosce l’abnegazione, vulnerabile, votata alla cura e al supporto…). Sarà una battaglia di civiltà incessante, capillare, persuasiva e pervasiva, di uomini e donne insieme, tutti giorni, nella quotidianità dei gesti, degli sguardi, degli atteggiamenti, delle azioni, delle frasi, dei commenti, delle parole, ma convintamente senza se e senza ma, e certamente non solo il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Francesca Carli