(Articolo da VicenzaPiù Viva n. 6, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).
Westworld è uno dei parchi divertimento di una grande multinazionale americana nel 2050, a tema far west. Pagando 40 mila dollari al giorno le persone possono sperimentare una sorta di vacanza alternativa, un vero proprio viaggio nel tempo, con full immersion in un’altra epoca. Gli ospiti non hanno regole, possono fare tutto quello che vogliono, anche uccidere o stuprare.
Interagiscono con i cosiddetti residenti, che invece non possono nuocere in alcun modo alle persone e che sono di fatto degli attori, ma non sono umani, anche se lo sembrano in tutto e per tutto, sono degli androidi umanoidi. Ogni androide è programmato per recitare una parte e rendere il più realistica possibile l’esperienza degli ospiti; quando viene danneggiato o ucciso, viene riparato e riprogrammato e deve ripetere la sua parte dall’inizio, senza conservare la memoria. Sottoterra agiscono i vari tecnici e programmatori che controllano ogni cosa avvenga nel parco e aggiustano o scartano o riprogrammano gli androidi.
Il cofondatore e direttore creativo del parco è il brillante e inquietante dottor Ford, interpretato dal carismatico Anthony Hopkins. Un giorno, senza che nessuno lo sappia, alcuni androidi, come per una naturale evoluzione o forse perché qualcuno li ha aggiornati, iniziano a conservare i ricordi. Questo gruppo piano piano prende coscienza di sé e decide di ribellarsi contro il cinismo di chi li ha ingannati e usati. A metà strada tra Blade Runner, Jurassic Park e Terminator, e con un pizzico di 2001 odissea nello spazio, questa serie, che si è purtroppo un po’ persa per strada e infatti per un calo di share è stata cancellata dopo la quarta stagione, porta in scena il tema ormai classico dello scontro tra uomo e macchina, con quest’ultima che si umanizza attraverso due elementi fondamentali della psiche umana, cioè la memoria e la coscienza. A ciò la serie ideata da Jonathan Nolan (fratello del regista Christopher) e sua moglie Lisa Joy, scrittrice, regista e produttrice, e ispirata all’omonimo film (in italiano Il mondo dei robot) di Michael Chrichton (celebre scrittore autore di una pietra miliare come Jurassic Park) del 1973, precursore del genere, oltre alle ripercussioni morali e psicologiche aggiunge la questione dell’intrattenimento. Se il grande e compianto scrittore americano David Foster Wallace ha lanciato nel 1997 il tema dell’intrattenimento perpetuo con il suo romanzo-mondo Infinte Jest, quando lo strumento erano ancora le videocassette, ma anticipando l’avvento di internet, Westworld si presta a una riflessione sull’intelligenza artificiale come strumento utile all’uomo, ma pericoloso se usato male. Se è vero (e sottolineo se) che il fine giustifica i mezzi, se scienza e tecnologia venissero usate per risolvere grandi problemi come per esempio guarire le malattie o sfamare le popolazioni, forse si potrebbe chiudere un occhio se nel farlo ci fossero discutibili implicazioni etiche o morali, ma se vengono usate per puro scopo ludico, per compiacere i capricci di un’umanità laida e viziata, regredita, come coscienza collettiva, a uno stato di infanzia perenne, allora la punizione, anzi vendetta (e qua si potrebbe aprire una lunga discussione sulla differenza tra punizione e vendetta) è, non solo scontata, ma quasi auspicabile..