Yazidi, l’odissea di un popolo che mai ha dichiarato una guerra

555

VicenzaPiù si è già occupata del dramma del popolo iazida o yazida che dir si voglia raccontando la storia di Steve Maman (nella foto un gruppo di loro salvati da lui) e Il Fatto Quotidiano ci ha aggiornato (vedi in fondo) sulla situazione. Da persona che ha avuto modo di condividere esperienze di vita con il popolo iazida posso affermare che è il più umile del Medio Oriente. L’umiltà si riscontra nei tanti piccoli dettagli del vivere quotidiano: conosco un imprenditore iazida che per la sua professione e i suoi conti correnti potrebbe vivere in un castello, invece vive in un delizioso ma piccolo appartamento a Istanbul.

I luoghi di culto del popolo iazida sono bassissimi, perché l’uomo iazida deve inchinarsi per entrare e le uniche decorazioni sono il sole, la luna e le stelle. Gli iazidi, il cui nome compare persino nelle antichissime rovine sumeriche, sono l’unico popolo mediorientale che non ha mai dichiarato guerra a nessuno. Le loro origini sono spesso messe in discussione, ma di una cosa sono certa yazidismo ed ebraismo sono le religioni più antiche del mondo.
Gli studiosi hanno detto che da ventitré milioni, in settecento anni gli iazidi sono ora scesi a settecentomila (alcuni parlano da 100.000 a 700.000, io credo che la conta si possa fare solo a conflitti in Medio Oriente chiusi), decimati da invasioni e genocidi. La loro caccia è iniziata nel 1170 quando l’espansionismo musulmano ne annientò cinquantamila. Per non essere di meno i mongoli sotto la guida di Hulagu Khan nel 1218 ne macellarano a migliaia, ma la fierezza del popolo iazida e la fortissima resistenza fece retrocedere i mongoli. Tralasciamo alcune centinaia di anni, per ragioni di spazio e perché è una storia orribile davvero. Lo storico turco Katib Chelebi stima che nel 1915-1918 circa 300 mila iazidi furono massacrati nei territori dell’Impero ottomano. Trovo una certa similitudine tra l’odio profuso verso gli ebrei e gli iazidi: la capacità di sopravvivere a quasi tutto, gli iazidi sono sopravvissuti alle invasioni di safavidi e ottomani, che si contesero Mosul perché rappresentava la chiave per il controllo della regione capsiana a oriente e, come gli Ebrei e Israele sopravvivranno a qualsiasi attacco. Non a caso, tra i primi a soccorrere le donne iazide vittime dell’Iran, tra non poche polemiche è stato proprio un ebreo di origine marocchina, Steve Maman.
Per le loro credenze, gli Iazidi come gli Ebrei sono stati bersaglio di odio per secoli e lo sono tuttora. I nemici hanno sempre hanno sempre cercato di annientarli e come gli ebrei sono risorti (non saranno certo i missili di questi giorni finanziati dall’Iran complice il silenzio della Comunità Europea ad annientare Israele ed Ebrei). Gli iazidi accusati di blasfemia, politeismo e apostasia dai fanatici islamisti, gli iazidi contano “72 genocidi” nella loro storia.
A fine novembre 2014 (non ricordo la data ed ho nascosto degli appunti di viaggio) da Baghdad, la parlamentare Dakheel ha detto: “Per settantadue volte nella storia hanno tentato campagne genocide contro gli iazidi. E la cosa si sta ripetendo nel XXI secolo. Un’intera religione rischia di sparire dalla faccia della terra“.
Nell’ottobre del 2017 dopo tante denunce e rapporti di ONG sulle violenze dell’Isis il Consiglio di Sicurezza ONU ha approvato la risoluzione 2379, creando un gruppo d’investigazione riguardo a crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio eventualmente commessi dai militanti dell’Isis. Eventualmente dice il testo, probabilmente c’è bisogno di altre violenze, oltre a quelle documentate per togliere la parola “eventualmente”.

 

*Yazidi, l’odissea di un popolo: oppressi, umiliati e ora liberati
MASSACRATI DALL’ISIS – ALCUNI SONO STATI RISPARMIATI, ALTRI MARCISCONO NELLE CARCERI IRACHENE. L’INIZIATIVA DI PAGARE UN RISCATTO PER SALVARLI

di Pierfrancesco Curzi, da Il Fatto Quotidiano del 9 agosto

Perseguitati e poi costretti a diventare parte di un progetto assurdo attraverso le distorsioni dell’Islam messe in atto dall’Isis. Ora salvati da una trattativa e ?ricomprati’ per evitare un destino segnato. L’incubo per la popolazione yazida del nord Iraq non è finito. La parte più delicata arriva adesso, all’indomani della neutralizzazione dello Stato Islamico, sia in Iraq che in Siria, dove resistono piccoli gruppi di combattenti ormai in disarmo.

Gli yazidi furono tra i primi a essere ?conquistati’ dal Califfato, dei loro villaggi attorno al capoluogo, Sinjar, restano solo macerie. A Mosul, distante 150 km, dopo la grande battaglia tra il 2016 e il 2017 per eliminare Daesh, la ricostruzione è già ripartita. Sinjar, liberata il 13 novembre 2015 (il giorno dell’attentato al Bataclan) dai Peshmerga curdi, è ancora uno spettro.

Chi la abitava o è morto o si trova nei campi profughi allestiti nei centri curdi della provincia di Duhok, oppure marcisce nelle prigioni irachene. Gli yazidi – di etnia curda e con una religione che abbraccia tutti i principali credi monoteisti, comparsa prima dell’Islam in Mesopotamia – hanno subito un trattamento simile a quello riservato dall’Isis ai drusi in Siria.

Emergenza terminata, adesso è ora del ritorno alla vita per decine di migliaia di persone, brutalizzate e schiavizzate dalla follia dell’islam radicale. Un’organizzazione curda con base a Erbil, da sempre impegnata nel sostegno della popolazione yazida, ha iniziato da qualche tempo a prendere contatti con organizzazioni internazionali, governi locali, ambasciate straniere sul territorio e personaggi influenti per avviare un’operazione molto delicata: recuperare gli yazidi sottoposti, dal 2013 a oggi, a un vero e proprio lavaggio del cervello da parte del Califfato. Trattative sia con gli ultimi bastioni delle milizie ?nere’ che con i vertici dei penitenziari iracheni dove queste persone sono state rinchiuse e maltrattate: “Gli yazidi che abitavano nella provincia di Sinjar erano persone di basso profilo culturale ed educativo – spiega Kareem Botane, una delle anime di questo progetto virtuoso -. Vittime predestinate, menti facili da plasmare per trasformare esseri miti in guerriglieri e adepti delle discipline dello Stato Islamico. Adesso è venuto il tempo di recuperare queste persone, di ridare loro una dignità. Attraverso fondi in arrivo da una serie di organizzazioni internazionali con cui siamo legati, trattiamo con le parti opposte come se fosse la richiesta di un riscatto. Al momento ci occupiamo di circa 3mila casi, quelli a noi più a cuore sono i bambini e i giovani, ragazzini sotto i 18 anni già costretti e convinti a combattere tra le fila del Califfato. Quanto costa salvare una persona? Dipende se si tratta di un adulto o di un minorenne, di una donna, di una famiglia intera. Il costo medio si aggira attorno ai mille euro”.

Comprati per essere salvati, per dimostrare come gli yazidi, nonostante le credenze assurde attorno alla loro funzione nel confuso scacchiere religioso del Medio Oriente, non siano stati dimenticati. La procedura è lunga, complessa e delicata. In pratica si stabilisce un contatto attraverso le conoscenze sul territorio per arrivare sino ai capi dell’Isis, oppure, per gli yazidi in prigione, ai vertici delle autorità carcerarie. Una volta avviata la trattativa si attende l’accordo e la consegna incrociata. Denaro per esseri umani: “Il resto spetta a noi e loro, disintossicarli dal male inculcato da quei folli e farli tornare, possibilmente, a una vita normale”.

Articolo precedenteErik Pretto dona alla Camera dei Deputati un libro in lingua veneta, scritto da lui
Articolo successivoStop al “bando periferie”, Luca Fantò (Psi del Veneto): estrema preoccupazione
Paola Farina
Nata a Vicenza il 25 gennaio 1954, studentessa mediocre, le bastava un sette meno, anche meno in matematica, ragazza intelligente, ma poca voglia di studiare, dicevano i suoi professori. Smentisce categoricamente , studiava quello che voleva lei. Formazione turistica, poi una abilitazione all’esercizio della professione di hostess di nave, rimasta quasi inutilizzata, un primo imbarco tranquillo sulla Lauro, un secondo sulla Chandris Cruiser e il mal di mare. Agli stipendi alti ha sempre preferito l’autonomia, ha lavorato in aziende di abbigliamento, oreficeria, complemento d’arredo, editoria e pubbliche relazioni, ha girato il mondo. A trent’anni aveva già ricostruito la storia degli ebrei internati a Vicenza, ma dopo qualche articolo, decise di non pubblicare più. Non sempre molto amata, fa quello che vuole, molto diretta al punto di apparire antipatica. Dove c’è bisogno, dà una mano e raramente si tira indietro. E’ generosa, ma molto poco incline al perdono. Preferisce la regia alla partecipazione pubblica. Frequenta ambienti ebraici, dai riformisti agli ortodossi, dai conservative ai Lubavitch, riesce nonostante il suo carattere a mantenere rapporti equilibrati con tutti o quasi. Sembra impossibile, ma si adegua allo stile di vita altrui, in casa loro, ovviamente.