Campi immensi di fiori viola con steli rosso scarlatto e antere gialle che si innestano in un panorama a base di cime verdi e cieli liberi dalle luci delle città: è l’Altopiano di Navelli, a circa 700 metri sul livello del mare, “casa” dell’oro abruzzese. Lo zafferano dell’Aquila.
Una spezia famosa – La cucina italiana è apprezzata in tutto il mondo ma non tutti ne conoscono gli ingredienti nello specifico. Eppure, lo zafferano abruzzese è riuscito a sbarcare persino in un film d’animazione della Pixar del 2007: in una scena del divertentissimo Ratatouille, le Safran de L’Aquila viene definito un prodotto eccellente.
In effetti, se già lo zafferano è la spezia più costosa al mondo di suo (un chilo può arrivare a costare decine di migliaia di euro, a seconda della qualità), la variante abruzzese è la più pregiata esistente. Questo perché la coltivazione avviene, da secoli, secondo tradizione ed esclusivamente a mano, richiedendo una manodopera attenta, delicata ed esperta. L’automatizzazione moderna, insomma, in questo caso non è riuscita a frapporsi tra la quantità e la qualità: nonostante si tratti di una spezia molto esportata, soprattutto all’estero, dietro ogni chilogrammo di zafferano dell’Aquila ci sono ben 200mila fiori e circa 500 ore di lavoro nei campi. Numeri impressionanti che lasciano intuire la preziosità di questo prodotto unico nel suo genere.
Una DOP molto esigente – Lo zafferano aquilano è stato iscritto nel Registro delle Denominazioni d’Origine Protetta nel 2005, lo stesso anno in cui è nato il Consorzio di Tutela. I criteri che hanno permesso questo step sono diversi e sono tenuti ad essere continuativamente rispettati per la permanenza fra le DOP italiane.
Il disciplinare richiede espressamente che la coltivazione continui a ricalcare le antiche tradizioni, con la rotazione annuale, il divieto di concimazioni e trattamenti chimici e l’essiccazione degli stimmi esclusivamente su brace di roverella (una quercia) o di mandorlo. Ma come fa ad assicurarsi che queste direttive vengano rispettate?
Periodicamente vengono eseguite delle analisi chimico-fisiche che verificano i valori dei principali costituenti di questo prodotto (soprattutto safranale e picrocrocina, responsabili dell’aroma e del sapore). Ecco perché lo zafferano abruzzese che possiamo gustare oggi è lo stesso condimento – o quasi – che usavano i nostri antenati centinaia di anni fa. Aromatico, delicato, armonico.
Anche sull’area di produzione ci sono dei vincoli: inizialmente non poteva superare i confini della provincia aquilana; da qualche tempo, però, per recuperare alcuni terreni incolti in aree pedamontane come la Marsica e la Val di Sangro, ci si è potuti spingere un po’ più in là in un progetto di espansione e riqualifica.
La particolarità biologica di questa pianta che si propaga solo per clonazione, in
quanto sterile triploide, fa sì che in mancanza di una evoluzione genetica legata alla riproduzione
gamica, la pianta mantenga inalterati i caratteri nel tempo. Questa particolarità rende lo “Zafferano
dell’Aquila” un fossile vivente in quanto sia i caratteri botanici della pianta che le tecniche
colturali impiegate per la coltivazione sono rimaste invariate da oltre 600 anni.Disciplinare di produzione dello “Zafferano delľAquila” a Denominazione di Origine Protetta
Storia e leggende – La storia dell’Abruzzo si “condisce” anche del suo oro rosso più prezioso e si fonde alla leggenda.
La pianta dello zafferano vero (Crocus sativus L.), in effetti, avrebbe le sue radici più antiche in Asia, dove questa spezia è particolarmente sfruttata in cucina e nella medicina tradizionale cinese e indiana. Le proprietà terapeutiche da sfruttare, infatti, sono tantissime, dalla prevenzione delle complicanze post-partum al supporto per la digestione.
Secondo alcune testimonianze storiche, però, la coltivazione e la commercializzazione nell’aquilano erano già particolarmente sviluppate all’epoca della fondazione della città (XIII secolo) e negli stessi esatti punti in cui avviene ancora oggi. Pare addirittura che Roberto d’Angiò abbia abolito la tassazione di questa spezia richiestissima in ogni angolo del regno e all’estero, proprio per favorirne il mercato e gli scambi.
Resta il mistero di come questi preziosi fiori siano arrivati in terra abruzzese in tempi così remoti.
La tradizione popolare racconta due leggende.
Secondo la prima, tutto comincerebbe a Creta, isola dalla quale lo zafferano avrebbe cominciato a diffondersi prima in Oriente e, poi, in Abruzzo grazie ad una fortunata casualità: un monaco domenicano, appassionato di agricoltura, avrebbe partecipato al tribunale della Santa Inquisizione a Toledo; in quella occasione avrebbe rubato alcuni bulbi di zafferano, portandoli con sé fino a Navelli, dovre avrebbe riscontrato che la coltivazione godeva, per fortuna, di condizioni ideali.
Un’altra versione legherebbe lo zafferano alla regione addirittura attraverso Ponzio Pilato che, si dice, fosse nato proprio in Abruzzo e lì avesse una villa (a Bisenti, in provincia di Teramo) in cui era solito trascorrere molto tempo; villa che sarebbe attestata anche da alcuni ritrovamenti archeologici.
Food & drink – Lo zafferano dell’Aquila è molto utilizzato nella cucina abruzzese, soprattutto come condimento di piatti di pesce e frutti di mare. È anche l’ingrediente principale di un gustosissimo liquore allo zafferano PAT (Prodotti Agroalimentari Tradizionali).
Ad oggi, è il simbolo della regione, protagonista speciale dei suoi piatti… e dei suoi panorami.