Alberto Zamperla, presidente del gruppo Zamperla di Altavilla Vicentina, ha tagliato il nastro del Luna Farm, il parco divertimenti inaugurato al Fico Eataly World di Bologna, con un misto di soddisfazione e amarezza. Perché questo è il primo parco italiano del colosso vicentino delle giostre – che realizza all’estero il 95% del fatturato – e lui, che ormai risiede negli Stati Uniti, ricorda bene i tentativi precedenti finiti con un niente di fatto. «E pensare che negli Usa ti cercano, ti chiedono di che cosa hai bisogno per lavorare e per creare, a tua volta, posti di lavoro».
In patria, invece, è finito contro il muro della burocrazia il tentativo di riconvertire a parco giochi l’area Expo di Milano, «logisticamente perfetta; era previsto i mantenimento del padiglione Italia e molto altro». A Venezia, poi, Zamperla aveva un piano – messo a punto nei dettagli, anche economici, con il contributo dell’università di Venezia – per riqualificare con un investimento superiore agli 80 milioni un’area degradata – l’isola di San Biagio (40mila metri quadrati, creata artificialmente e divenuta negli anni una discarica) – in un polo del divertimento e del tempo libero, il primo mai realizzato nella laguna di Venezia.
Il progetto prevedeva un polo dedicato alla cultura, al recupero di storia e tradizioni lagunari, allo svago e al tempo libero, con un duplice obiettivo: essere fruibile per i veneziani, ma anche prolungare il soggiorno dei turisti, con una capienza di 11mila visitatori che dall’isola, grazie a un sistema di trasporti pensato in collaborazione con la municipalizzata, avrebbero potuto raggiungere piazza San Marco e altre destinazioni.
Il tutto ad alto grado di tecnologia, dalle vernici mimetiche per le installazioni alle fonti energetiche sostenibili, fino alla “realtà aumentata” per spiegare ai visitatori la storia di Venezia e le antiche tradizioni in un gioco di squadra fra azienda, ateneo – chiamato a farsi garante della credibilità e scientificità dei contenuti del futuro polo, ma anche della progettazione rispettosa degli equilibri e dei canoni estetici di una città unica al mondo – e amministrazione pubblica, mentre Zamperla si sarebbe assunta interamente i costi (milionari) di bonifica.
Non se ne è fatto nulla. Nel frattempo, Zamperla ha creato parchi praticamente in tutto il mondo, come clienti i governi di Saddam Hussein e dello Scià di Persia: «Lo avevano capito i romani 2mila anni fa: panem et circenses, pane e giochi per il popolo. Uno degli ultimi parchi lo abbiamo creato in Guatemala, uno dei Paesi più poveri. In alcune aree del mondo, anche fronti di guerra, il divertimento è una sorta di ammortizzatore sociale».
Nel 2005 il fondatore della società, Antonio Zamperla, è stato il primo italiano iscritto nell’International Association of Amusement Parks and Attractions Hall of Fame, l’albo d’onore dei grandi personaggi dell’industria del divertimento, insieme a Walt Disney e George Ferraris, l’inventore della ruota panoramica.
Installazioni firmate Zamperla sono presenti dagli Stati Uniti alla Cina, dalla Corea del Nord a Messico e Thailandia, compresa la riconversione della centrale nucleare di Kalkar in Germania: «Purtroppo in Italia non è facile realizzare opere importanti a causa dei troppi individualismi, di vincoli, limitazioni e timori, con il risultato che spesso i sogni vengono considerati follie di visionari pericolosi – aveva detto all’epoca del progetto (mai nato) veneziano, nel 2013 Alberto Zamperla, presidente della Spa –. Ciò detto, mi preme sottolineare che ritengo con orgoglio la nostra azienda la quintessenza della migliore “italianità” di cui dovremmo essere fieri: creatività, ingegno, gusto estetico, professionalità, passione, il tutto condito da un atteggiamento manageriale e organizzativo che premia il merito e il senso di responsabilità dei collaboratori».
Parole confermate oggi che ha preso vita il progetto per Fico, «insieme a Farinetti che ho conosciuto proprio in America, a cena dal console italiano – ricorda – Quando ci ha chiesto se eravamo interessati ho risposto: molto volentieri. E ci siamo messi al lavoro», racconta Zamperla.
Il risultato è un investimento di 11 milioni di euro per 6.500 metri quadrati di superficie, un progetto d’avanguardia per il primo Luna Park completamente al coperto. Al lavoro oltre 20 professionisti per la progettazione tra architetti, ingegneri strutturisti, informatici, elettronici, designer e altro, e circa 150 professionisti tra dipendenti del Gruppo e maestranze per la realizzazione.
Obiettivo, «divertire ma anche educare, visto che tutto ruota intorno al cibo e alle sfide che pone». L’ambientazione è una coloratissima fattoria, abitata dal contadino Gianni con tanto di maialina che balla la dance e gallo influencer, e altri animali che passano le giornate organizzando scherzi e animazioni tra bizzarri macchinari che ruotano, saltano e volano. Un mondo fuori dall’ordinario che offre un’esperienza completamente immersiva tra scenografie curate nei minimi dettagli, con giostre, animazioni, luci, musiche e profumo di popcorn: «Abbiamo voluto realizzare uno spazio di divertimento a misura di tutte le famiglie – racconta Andrea Caldonazzi, ceo del Parco – Luna Farm è un parco divertimento per i bambini, dove si divertono anche i genitori e i nonni. È pensato come un luogo di emozioni da condividere. Sulle giostre si sale insieme, e la sigla la sanno già canticchiare tutti durante il primo ritorno in macchina».
La tecnologia è in primo piano: per Luna Farm è stata sviluppata e integrata una piattaforma hardware/software per la gestione delle attività, dalla manutenzione delle attrazioni, alla raccolta ed analisi dei dati. A breve saranno integrate soluzioni IoT che permetteranno di acquisire in tempo reale dati da sensori, da dispositivi elettronici di controllo e da strumenti di interazione uomo-macchina. I dati saranno analizzati in tempo reale con algoritmi di machine learning e data analytics. Allo studio anche soluzioni di stampa 3D per i modelli per la vetroresina o per particolari meccanici.
Grazie alla tecnologia anche giocare è più facile (e senza sporcarsi): c’è il painting wall interattivo, dove i bambini possono immergere le mani in barili di colore e decorare i muti, ma è tutto virtuale, oppure possono sedersi su speciali poltrone e, infilando un visore, vivere le emozioni reali delle avventure.
C’è anche il Toroscontro, installato in anteprima nel parco di Fico: un autoscontro di ultima generazione per coinvolgere gli ospiti con sfide basate su proiezioni interattive sulla pista, primo caso mondiale per questo genere di attrazione, che prevede anche una vettura adattata per persone con esigenze speciali di accessibilità. Delle 15 attrazioni, sette sono state pensate per essere accessibili anche a bambini con esigenze particolari.
La previsione per il parco bolognese – 64 giovani assunti, diventeranno 70 – è di raggiungere nel 1° anno, 230mila visitatori, per arrivare a 280 mila in 5 anni. E per la multinazionale vicentina del divertimento – che chiuderà il 2019 a quota 120 milioni di fatturato – dal 1° gennaio 2020 sarà operativa la divisione Roller Coaster, per ampliare le potenzialità delle montagne russe.
di Barbarta Ganz, da Il Sole 24 Ore