Zonin, la “sorella-sorella” suor Carla, lo scisma delle suore ribelli di Rovigo e le 63 casse del fondo Personè a Prato

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Dopo beneficenza by Zonin le suore dopo lo scisma
Le sette suore rimaste in convento a Porto Viro dopo lo “scisma”. Da sinistra: Suor Maria Cecilia, Suor Giovanna Maria, Madre Chiara Ivana (eletta Abbadessa), Suor Maria Chiara, Suor Maria Carla Lucia, Suor Maria Fernanda e davanti sulla destra Suor Maria Elena.

Doppia attrazione per Gianni Zonin, ai tempi della sua “aurea” presidenza. per due Moloch del nostro vivere: la Chiesa cattolica e l’Arte. Dalle donazioni alle Sorelle Povere (tra cui la sorella-sorella Carla) di Porto Viro causa di un clamoroso scisma conventuale, allo scomparso tesoro documentale di Luigi Maria Personé, già proprietà dell’acquisita banca di Prato e poi disperso nelle nebbie di monsignori vicentini e della problematica liquidazione coatta, e per il quale si sono mossi monsignori e vescovi toscani e la cui conclusione è ancora in alto mare.

Fino a quando?  Gianni Zonin non s’è fatto mancare nulla. Potrebbe cominciare così la nostra storia, che percorre la strada che ci conduce nello ieratico universo della Chiesa cattolica. Romana e non solo. “Quaderni Vicentini” ha già raccontato della carriera di Zonin all’interno delle mura leonine, la sua nomina a consigliere della “Fondazione per i Beni e le attività culturali e artistiche della Chiesa” e delle pressoché subitanee dimissioni.[1] “Quaderni Vicentini” ha anche rivelato i rapporti tra la Diocesi di Vicenza a guida Mons. Pietro Nonis e le familiarità della BPVi con il segretario del prelato, Mons. Antonio Marangoni di Villalta di Gazzo Padovano. Ha pure riferito circa l’acquisto della Pala del Maganza[2], restaurata e donata alla Cattedrale diocesana, finanche del Codice miniato. Autentiche partite di giro profumate d’incenso. Ancora non si sapeva di altre storie che hanno coinvolto la BPVi e il suo ex presidente. Non certo la beneficenza alle parrocchie toscane dove hanno sede le aziende agricole (Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, ecc.) o quelle a qualche ente ecclesiastico vicentino, per finire alle parrocchie nostrane, anche qui “più familiari” al nostro, ovvero Montebello Vicentino e Gambellara. Non certo la banda musicale e il pensionato di Gambellara, che potrebbero chiudere la lunga lista delle liberalità presidenziali. Nemmeno le somme fatte pervenire al cardinale Rosalio Castillo Lara fanno più notizia.

No, una storia di scisma cattolico in piena regola che, fatte le debite proporzioni, non ha nulla da invidiare a separazioni minacciate o attuate post Concilio Vaticano II. Un caso per tutti è quello relativo al vescovo Marcel Lefebvre (1905-1991), che ha avuto il suo momento di rottura nel 1988 e e che oggi vive una fase delicata nel tentativo d’una ricomposizione. Nulla da paragonare, infatti, a quello che l’audacia dell’ex presidente della BPVi ha involontariamente provocato.

Ma molti altri sono stati i micro-scismi che hanno interessato la Chiesa Cattolica italiana. Da quelli post-conciliari a quelli del dissenso progressista, passando attraverso i sostenitori del tradizionalismo e addirittura dei “sedevacantisti[3] e dei “sedeprivazionisti[4].

Suor Carla e le “Sorelle povere di Santa Chiara” a Porto Viro

Ma anche quello che si sta raccontando è stato uno scisma in piena regola, con il coinvolgimento di tutte le gerarchie vaticane, per giungere addirittura a Papa Francesco. L’odierno racconto è quasi una cronaca fredda degli accadimenti. Due vicende distinte. Per datazione e per natura, unite da un medesimo coinvolgimento ecclesiastico: le diocesi. Non si vuole mettere in discussione la buona fede, se c’è stata; tanto meno gli errori involontari che uno potrebbe compiere anche nel fare opere di carità. Si registrano i fatti e si da voce a chi li ha vissuti.[5]

Cominciamo dalla storia forse più eclatante, lo scisma d’un ordine religioso, d’una comunità monastica,  che avrebbe come concausa, se non addirittura scintilla incendiaria, l’operato accidentale di Gianni Zonin. Com’è ormai noto, Gianni Zonin, tra i tanti fratelli e sorelle, ne ha anche una “fattasi” suora: Suor Carla.

Suor Carla ha deciso, ancora in giovane età, di darsi totalmente al Signore, di farsi monaca. Non una monaca qualsiasi, ma di clausura. Già di suo il monachesimo è un fenomeno non comune di vita interiore, d’intensa spiritualità, che si caratterizza per le rinunce agli interessi mondani. La dedizione ascetica è completa, coinvolge la propria vita in modo pregnante, s’allontana dalla vita sociale per realizzare la propria vocazione di fede. Un vero atto d’amore verso Dio. Nel caso di Suor Carla la scelta è stata addirittura fatta per la “clausura”. Una prova d’amore decisamente maggiore, intensa, ricca di significati interiori.

L’atmosfera del nostro vivere è il silenzio[6], afferma una suora di clausura. “Un silenzio non vuoto, non imposto, che non ci isola, ma un silenzio che ci raccoglie attorno a una Presenza che ci ha affascinate e condotte al monastero: è la presenza di Gesù. Quello che si edifica in una vera buona vita monastica nasce dal silenzio. Il silenzio ci educa alla preghiera, ci orienta nella carità fraterna, ci apre la mente e il cuore ai fratelli che in modi diversi bussano alla porta del nostro monastero. Un silenzio quindi amato, ricercato, custodito e anche difeso da ingerenze che potrebbero inficiarlo”.

Suor Carla decide, pertanto di raggiunge il Convento “Cuore immacolato di Maria” delle “Sorelle povere di santa Chiara”, che ha sede a Porto Viro. Il convento è stato fondato da S.E. Mons. Giovanni Battista Piasentini[7], Vescovo di Chioggia, il 24 dicembre 1952, quando i tristi danni della storica alluvione del Po erano ancora visibili. Una bella struttura, con annessa chiesetta dedicata a Santa Chiara, ed il chiostro. Qui trovavano ospitalità, sino a qualche anno fa, quattordici suore, anche se la struttura conventuale ne potrebbe ospitare molte di più. Ma le vocazioni sono sempre più rare e stanno mettendo a dura prova quest’ordine monastico, come la Chiesa in generale.

“Trovavano ospitalità”, coniugato al passato, perché oggi le suore di clausura delle “Sorelle povere di santa Chiara” di Porto Viro si sono ridotte alla metà. Un autentico scisma consumatosi sull’altare dell’ex Banca Popolare di Vicenza e che ha coinvolto il suo ex presidente, Gianni Zonin, per le sue liberalità caritatevoli, già denunciate dall’avvocato Gianfranco Rigon alla Banca d’Italia.[8]

L’ex Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Vicenza non esitò a mettere “nero su bianco” informando la Banca d’Italia degli abusi che, a suo dire, erano perpetrati dall’allora presidente Zonin, con particolare riguardo all’attribuzione di somme di denaro “…al convento di Porto Viro (Rovigo) dove la sorella del Presidente della B.P.V. è Madre Badessa o candidata a diventarlo”.[9]

La comunità portovirese si è letteralmente spaccata in due. I 14.000 abitanti di questo paese al centro del Delta del Po hanno discusso per mesi le vicende che hanno interrotto la silenziosa meditazione cui sono chiamate le sorelle. Una querelle alla quale non è rimasta estranea nemmeno la Diocesi di Chioggia, con il suo pastore, il vescovo vicentino mons. Adriano Tessarollo. Una storia ancora non chiarita, che ha lasciato dietro di sé una lunghissima coda di polemiche, non ancora sopite.

La goccia della donazione di Zonin  che fa traboccare il vaso

La vicenda, che avrebbe scatenato le contrapposizioni tra le religiose, chiama in causa la Banca Popolare di Vicenza. C’è da credere che attriti e incomprensioni già covassero tra le sorelle e, quindi, che la vicenda BPVi sia stata solo la “goccia che ha fatto traboccare il vaso”, se non un semplice pretesto. La Banca Popolare di Vicenza a guida Zonin ha devoluto in beneficenza, negli anni, parecchie decine di milioni di lire al Convento delle Suore Clarisse di Porto Viro, con le causali più disparate: dal “sostegno necessità del monastero” al “sostegno attività”, fino al “sostegno lavori al convento”.

Quando si viene a sapere i soci truffati insorgono. Parecchi di loro sono fedeli molto legati al convento, benefattori storici che donano, chi con cadenza settimanale, chi mensile, generi di necessità alle suore poverelle di Santa Chiara che vivono, per scelta, solo ed esclusivamente di carità e preghiera. Non riuscendo a comunicare con il convento per apprendere se rispondesse al vero che la BPVi, per volontà del suo presidente, era latrice di flussi importanti di danaro, gli insorti chiesero conto alla Diocesi.

Il rifiuto della Madre Badessa e la sua rimozione

Il Vescovo di Chioggia volle vederci chiaro e chiese a sua volta conto alla Madre badessa, Suor Maria Giuliana Ravagnan, che, piccata, non gliele mandò a dire: “...noi viviamo in doverosa povertà, neanche sappiamo come sia fatto tanto danaro”, per poi rifiutarsi di resocontare al suo vescovo le operazioni finanziarie della comunità monastica[10], invocando, prima la legge italiana per la quale la verifica contabile non può andare indietro più di dieci anni, quindi il fatto che loro dipendono dalla “Congregazione per gli Istituti di vita Consacrata e le Società di vita Apostolica” e non certo dal vescovo Adriano. La Congregazione è un dicastero della Santa Sede ed è retta da un Prefetto, il cardinale João Braz De Aviz, che risponde direttamente al Sommo Pontefice. Anche la Congregazione non vede chiaro nella vicenda degli apporti finanziari ed invia due “apostoliche vigilatrici” per le opportune verifiche. La conclusione è drammatica: la Madre badessa, che cerca caparbiamente di rimanere attaccata al Capitolo, è rimossa. Un provvedimento che crea scompiglio e accese discussioni, nel convento e fuori. Il silenzio è rotto. Definitivamente. La Congregazione commissaria il convento ed invia una “formatrice” con il compito di confrontarsi con le suore e riportarle sulla strada della Chiesa. Dovrà intervenire, ancora una volta, il vescovo Tessarollo, addirittura con un fermo comunicato: «La non accettazione del provvedimento verso l’abbadessa ha creato disagio, e ha indotto la Congregazione a chiederle di lasciare il monastero per un’altra residenza. Anche questo secondo provvedimento non è stato accolto, anzi vi è stato opposto ricorso. Il provvedimento della Congregazione è stato quindi riconfermato dallo stesso Papa Francesco. Dispiace che anziché obbedire alla Chiesa si preferisca seguire le indicazioni di qualche persona esterna alla Comunità: a noi tutti non resta che pregare per un ripensamento di queste monache, incoraggiando le altre, e sono la maggioranza, a perseverarenell’obbedienza e nella vita monastica». Ma ormai è troppo tardi per una ricomposizione in seno alle Clarisse Adoratrici del Cuore Immacolato di Maria: oggi il fatto è compiuto, e al netto dei riscontri giudiziali riguardo le singole responsabilità e i conti del convento, quest’ultimo resta praticamente dimezzato nell’organico. Anche se – sottolinea il settimanale diocesano – “almeno per ora non esiste alcuna prospettiva che l’autorità pontificia da cui il monastero dipende, e cioè la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, giunga alla sua chiusura definitiva. Di fatto, in esso vive una Comunità di monache ben disponibili a camminare nella Chiesa”.

 

Sette suore abbandonano l’abito monacale

 

Sette suore, però, decidono che la misura è colma e abbandonato l’abito monacale, simile a quello dei francescani, marrone, con il cingolo, il lungo cordone a tre nodi indossato attorno alla vita. I nodi rappresentano la Povertà, la Castità e l’Obbedienza. La “povertà” e l’ “obbedienza” sono state messe in discussione. Lo scisma è consumato. Lasciano il convento e migrano in un’abitazione privata messa a loro disposizione dai fedeli di Villadose, comune confinante con Porto Viro, dove “fondano” una nuova comunità claustrale di preghiera. Abbandoneranno l’abito, ma – affermano – non i voti. Suor Carla (Zonin) rimarrà in convento.

La carità dispensata dalla Banca Popolare di Vicenza non ha portato bene, a dispetto del gesto genuino che l’ha probabilmente ispirata. Perché è indubbio che le opere di carità sono buone, per definizione. “Tutta la legge trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Lettera ai Galati 5,14). In tale senso, la carità deve essere considerata non solo come una tra le molte virtù del cristiano, ma come quella suprema (1 Cor 13,13).[11]

 

I soldi della banca

 

Rimane sullo sfondo, però, il fatto che Zonin, certamente desideroso d’amare il prossimo suo come se stesso, come recita il Vangelo di Marco[12], avrebbe potuto fare quest’opera di carità con i suoi mezzi finanziari, con il suo appannaggio milionario, con gli utili dell’azienda vinicola, non con i soldi dei soci della Banca. In quel caso nessuno gliene avrebbe chiesto conto. Le opere di carità si fanno con i beni propri, non certo con quelli altrui. Scorrendo l’elenco delle impietose comunicazioni degli anni a cavallo del terzo millennio, che hanno per titolo “Contributi concessi dal Presidente – Resoconto trimestre….”, ricorrono spesso gli stessi nominativi. Gli unici, evidentemente, meritevoli della carità della BPVi e del suo presidente.

Con la sua recente intervista a Il Giornale di Vicenza[13] Zonin ha inteso ribadire che ha sempre agito in “buona fede” e che solo “chi fa sbaglia”. Premesso che l’antico adagio popolare del “solo chi fa sbaglia” non assolve sempre e comunque dalle condotte umane più o meno adamantine, nessuno mette in dubbio possa aver agito in buona fede, a condizione che la buona fede trovi ospitalità nelle spiegazioni che il popolo dei truffati attende da anni e che nemmeno l’intervista al quotidiano cittadino rilascia. “Chi fa sbaglia?”: no, non è proprio sempre così.

 

Il patrimonio culturale della città di Prato

 

Da est ad ovest dell’Italia, dal versante adriatico a quello tirrenico. Da Porto Viro a Prato, dove si sviluppa un’altra inquietante storia, dai contorni non chiari, che coinvolge, ancora una volta, la BPVi, il suo presidente e una diocesi della Chiesa cattolica.

La Chiesa cattolica sembra un fil rouge della vita di Zonin. Dalla Diocesi di Vicenza a quella di Chioggia, per andare alla diocesi pratese e quindi, tornare a Vicenza. Sembra assumere le caratteristiche d’una prelatura personale. Sì, perché la storia pratese ha il suo epilogo a Vicenza e vede, ancora una volta, in primo piano quel tal monsignore Antonio Marangoni che avevamo lasciato ai restauri e ai riordini archivistici delle banche del gruppo BPVi. Questa tessitura, beffarda per i pratesi, ce la racconta «Toscana Oggi». È la storia di quella che l’organo di stampa toscano definisce senza mezzi termini un autentico “scippo”.

Nelle spire del crac della Popolare di Vicenza è andato perduto un altro bene prezioso del patrimonio culturale di Prato. Dopo aver rischiato di dover rinunciare alla collezione di Palazzo degli Alberti, tornata invece in città dopo un lungo braccio di ferro con gli ex vertici dell’istituto veneto, rimane in sospeso la questione legata al fondo Personè”.

Il Fondo Personè è un famoso archivio privato composto da settemila lettere – alcune di queste scambiate con i più importanti personaggi del Novecento, come Winston Churchill, Charles De Gaulle e Benedetto Croce –, manoscritti, diari e agende appartenute a Luigi Maria Personè[14], un critico letterario, giornalista e docente scomparso nel 2004 alla veneranda età di 102 anni.

Laureatosi in lettere a 21 anni presso l’Università di Firenze, ha insegnato lettere e filosofia al liceo Cicognini. Il suo nome non è conosciuto ai più. Certamente lo è ad una ristretta ma qualificata  cerchia di studiosi italiani e stranieri, dai quali si era fatto conoscere per le sue colte frequentazioni, le sue conferenze, i suoi elzeviri su prestigiose riviste e su quotidiani italiani e stranieri.

«L’Osservatore Romano» l’annoverava tra i suoi migliori editorialisti. Quindi «Il Corriere della Sera», «La Stampa», «La Nazione» e il «Resto del Carlino».  “I suoi erano elzeviri, come si dice in gergo, acuti, dotti ed estremamente critici nei confronti di una modernità che stava lasciando indietro l’uomo a favore della macchina.”

Sul quotidiano della Santa Sede, quando morì, fu definito: “personaggio di alta caratura morale e di vasti orizzonti letterari, storici e artistici”. Al momento della morte del critico il carteggio costituente il Fondo venne acquistato dalla Cassa di Risparmio di Prato, per intercessione dell’onorevole Giulio Andreotti, che era stato a sua volta interessato dal cardinale Silvestrini.

La Cassa di Risparmio toscana si era impegnata a cederlo al locale museo diocesano in “custodia perpetua”, un’operazione clone di quelle che a Vicenza si erano già sperimentate con il copyright zoniniano. Con la differenza – non da poco – che in questo caso Zonin non c’entrava nulla. Zonin entra in gioco successivamente. La BPVi acquisisce la Cassa e pensa bene di mettere le mani sul Fondo, ufficialmente per riordinarlo.

 

Le famose 63 casse del Fondo Personè

 

Infatti, “tre anni prima del crollo il presidente Gianni Zonin prelevò le 63 casse del fondo Personè dall’Archivio diocesano di Prato per inventariare il loro contenuto. L’operazione fu condotta a Vicenza, da un ecclesiastico, lo stesso che aveva riordinato il fondo della banca vicentina. Zonin definì questo trasferimento «momentaneo» come «un regalo ai pratesi». Peccato però che dopo il dissesto finanziario questo patrimonio sia rimasto in Veneto con il rischio di poter essere oggetto di vendita nel piano di liquidazione coatta amministrativa a cui è sottoposto quel che resta della banca.”[15]

C’è però un appiglio, al quale la Diocesi di Prato si è aggrappata avvedutamente. Don Renzo Fantappiè, il professore responsabile dell’ufficio beni culturali della diocesi, si è alacremente adoperato per proteggere questo inestimabile patrimonio invocando l’intervento della Soprintendenza. Tanto ha fatto il prelato pratese che la Soprintendenza ha decretato un vincolo pertinenziale che lega libri, lettere e manoscritti alla città di Prato. Con la tenacia che lo caratterizza, con 61 anni di sacerdozio sulle spalle e 45 d’insegnamento di filologia morale ed estetica, don Fantappiè (come vuol essere chiamato) afferma a gran voce: “si tratta d’un bene che appartiene alla Chiesa di Prato e qui deve tornare!”.

Dal 2016 l’ostinato prete-docente toscano ha incalzato i commissari della liquidazione amministrativa chiedendo che il Fondo gli fosse restituito “il più rapidamente possibile”. Il cattedratico sacerdote non ha fatto i conti con i tempi e le procedure della legge fallimentare ma non intende demordere. “Non ci siamo dimenticati di questo patrimonio”, dice carte alla mano don Fantappiè, sperando nello stesso epilogo del «ratto» dei quadri della galleria di Palazzo Alberti, tornati al loro posto grazie all’interessamento di Intesa San Paolo, gruppo proprietario della «parte sana» di BpVi e di Veneto Banca[16]. L’esito positivo di questa vicenda non interessa soltanto la città di Prato ma tutto il mondo della cultura italiana perché, come detto, in questo Fondo si trovano scritti dal grande valore storico.

Chi non nomina don Fantappiè è l’ecclesiastico vicentino al quale Zonin commissionò l’inventario dell’archivio. Un’omissione forse voluta per evitare un possibile incidente diplomatico tra due diocesi. Pare che Mons. Agostinelli[17]abbia più volte parlato con il vescovo di Vicenza, Mons. Pizziol, per capire il ruolo svolto dal presule vicentino così vicino a Zonin. Lo stesso che celebrò le esequie del papà di Zonin in rappresentanza di Mons. Nonis; lo stesso che ritroviamo alle colazioni di lavoro a casa Zonin[18], in compagnia dell’ex sindaco Variati, dell’avvocato Breganze, del prof. Ferdinando Rigon?

Lì la tavola apparecchiata non è certo quella francescana del convento delle “Sorelle poverelle di Santa Chiara”. Il solito mons. Marangoni Antonio, di Villalta di Gazzo Padovano? È lui l’ecclesiastico che ha accolto il Fondo Personè per il riordino archivistico? Pare proprio di sì. Non serve un grande sforzo d’immaginazione. Il sito web della Artcart Srl, che gira e rigira ruota attorno al monsignore o quanto meno lo vede quasi sempre presente, ci racconta proprio questo[19]. L’intervento è consistito nel censimento nel periodo 2014-2015 e nel trasloco delle 63 casse di documenti da Prato a Vicenza. La referenza della società d’archivistica si chiude con un breve profilo del proprietario del Fondo: “Luigi Maria Personè, critico, letterato e scrittore, fu un personaggio chiave dell’ambiente culturale toscano. Il suo archivio personale conserva molte foto e corrispondenza autografa di personaggi illustri del Novecento. Tutto il fondo è stato censito e traslocato in un deposito idoneo.

Pare di leggere tra le righe: “qui è stato trasferito e qui rimane”. Peccato che non la pensi nello stesso modo la diocesi di Prato ed il prof. don Renzo Fantappiè. I toscani attendono che l’archivio torni al suo posto. C’è da scommettere che ci riusciranno. Oggi non c’è più Zonin. Oggi non c’è più nemmeno la Banca. Può bastare?

Di Gordon Gekko, per gentile concessione di Quaderni Vicentini (n.5 in edicola e nelle migliori librerie, qui l’impaginato originale)

[1] Quaderni Vicentini, n. 3/2018, Gordon Gekko – Chiesa e finanza. Il Divin Marchese e la Fondazione sparigliata. Quaderni Vicentini, n. 6/2017, Pino Dato – Quando Zonin fu chiamato, motu proprio, da Francesco Papa.

[2] Febbraio 1999 – Lire 50.000.000: acquisto Pala del Maganza dalla Diocesi di Vicenza, da destinare alla Cattedrale.

[3] Associazione Santa Maria “Salus Populi Romani”.

[4] Movimento giapponese Seibo no Mikuni – Il Regno di Nostra Signora.

[5] Cosa è accaduto, nel tempo e in particolare dallo scorso autunno, per arrivare alla risoluzione odierna? Secondo fonti accreditate, l’origine del caos è da attribuirsi a una trasmissione di Rai Tre, “Report”, che nell’ambito della crisi della Banca Popolare di Vicenza aveva rinvenuto una serie di costanti bonifici a favore del monastero (prima 10 milioni di lire mensili, poi 10mila euro) da parte del presidente Gianni Zonin, fratello di suor Carla che appunto vive in clausura nel consesso portovirese. Tra le ipotesi, anche quella che il fondo da cui veniva prelevato il denaro facesse parte del patrimonio sottratto alla disponibilità dei tanti truffati dall’istituto di credito. Al che, il vescovo di Chioggia Adriano Tessarollo avrebbe chiesto all’allora abbadessa, suor Giuliana, di poter visionare i conti del monastero, ricevendo in risposta un rifiuto dal momento che le Clarisse dipendono e riferiscono solo alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, con sede in Vaticano. (fonte:polesineazzurra.blogspot.com/2018/02/sei-suore-di-clausura-abbandonano la.html 18/2/2019).

[6] Diocesi di Cremona, Madre Caterina Aliani in occasione del settimo anniversario della clausura delle monache di San Sigismondo.

[7] Giovanni Battista Piasentini (Venezia 31/7/1899 – Possagno 31/8/1987).

[8] Memoria alla Banca d’Italia inviata dall’avvocato Gianfranco Rigon di Vicenza l’11 ottobre 2001.

[9] Ibidem.

[10] Fatto salvo un libretto contenente la somma di Euro 50.000 che il defunto genitore di Gianni Zonin aveva destinato alla figlia suora. (Fonte: Polesine azzurra – 19/2/2018)

[11] L’inno alla carità (Corinzi 13,1-13) – Paolo compone il più bel trattato dell’amore del Nuovo Testamento: l’inno alla carità. Con la forza dolce della sua prosa, l’apostolo mette in luce il primato della carità sulle virtù umane e cristiane (vv 1-3): cultura e doti mistiche; gli stessi tre doni, come la profezia, la scienza, la fede che trasporta anche le montagne; perfino lo spogliarsi dei propri beni e l’eroismo di chi sacrifica la vita del corpo; tutto ciò, senza la carità, è decisamente vuoto, rimbombo, vano spettacolo. L’inno è simile a un fiore i cui petali sono altrettante qualità dell’amore: magnanimità, bontà, umiltà, disinteresse, generosità, rispetto, benignità, perdono, giustizia, verità, tolleranza, costanza… E il corteo delle virtù che accompagnano l’amore. (Fonte: Padre Raniero Cantalamessa).

[12] Rispondendo alla domanda rivoltagli sul primo dei comandamenti, Gesù disse: «Il primo è: “Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. E il secondo è questo: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più importante di questo» (Mc 12,29-31).

[13] «Il Giornale di Vicenza» del 26/10/2019

[14] Luigi Maria Personè (Nardò 30/6/1902 – Firenze 9/2/2004).

[15] Toscana Oggi. it La Popolare di Vicenza e l’archivio Personè, storia di uno «scippo». Fu acquistato dalla Cassa di Risparmio di Prato per l’Archivio diocesano. Dopo il crac della banca arrivarono i veneti, il presidente Zonin si portò a casa 63 casse di manoscritti per fare l’inventario. Con la fine della Popolare si sono perse le tracce del fondo, che forse si trova in un caveau di Vicenza. (Giacomo Cocchi, 15/6/2019).

[16] Ibidem.

[17] Mons. Franco Agostinelli è stato vescovo di Prato fino allo scorso maggio 2019.

[18] Agenda dell’ex presidente Zonin acquisita agli atti del procedimento penale.

[19] www.arcart.it/archivistica/archivio-di-persona-di-luigi-maria-pers.